La Fiera delle Vanità
- IlLibroSulComodino
- 29 gen 2019
- Tempo di lettura: 4 min
Io, da completa ignorante, non avevo mai sentito nominare l'autore di questo libro, Thackeray, ma posso dire che questo autore merita almeno di essere nominato e studiato a scuola: il suo più famoso romanzo è una giungla di debolezze umane che rendono più sopportabili le nostre.

Informazioni tecniche:
Comprata edizione de I Mammut della Newton Compton
Pg. 662
Capitoli 67
Tempo di lettura: una settimana.
Il titolo originale di quest'opera è: Vanity Fair: A Novel Without A Hero, che fa capire assolutamente che, come nella vita reale, non esiste un eroe ben definito, perchè ogni suo personaggio è un essere umano, con le sue debolezze, i suoi vizi ed i suoi difetti. La sua protagonista non è rappresentata da una qualità unica che la contraddistingue (es. in Jane Austen, Ragione e Sentimento sono rappresentate rispettivamente da Elinor e Marianne Dashwood), ma viene rappresentata dalla sua vera natura umana in cui contano più il buon senso che le speranze o i sentimenti.
Il titolo prende ispirazione da un romanzo allegorico The Pilgrim's Progress, famosissimo in Inghilterra, in cui viene narrato del luogo chiamato Vanità (una metafora di Londra), una meta in cui i pellegrini per la Città Celeste sono obbligati a passare, e della sua Fiera, organizzata da Belzebù, in cui si vendono ogni sorta di mercanzie (case, terre, mestieri, promozioni, titoli, vite, sangue e così via). In questo libro ogni passaggio e dettaglio viene indagato ed analizzato in uno spazio-tempo di venti anni da Londra e dintorni.
Questo romanzo è insomma la commedia umana della capitale inglese, della sua realtà sociale che cresce e si trasforma, investita dalla nostalgia del passato scomparso e dalla volontà di smascherare i suoi falsi trionfi nobiliari e borghesi, con una fauna di personaggi corrotti e immorali, stupidi ed irresponsabili rappresentati in maniera molto marcata nei loro vizi e nelle loro meschinità.
"Thackeray accompagna per mano i lettori nell'intricato dedalo di vie viuzze della nuova Vanità, in mezzo ai frastornati clamori della sua perpetua Fiera, e lo fa nelle vesti del suo personaggio preferito: l'insidiosa, affascinante, manovriera, calcolatrice Becky Sharp che fa freddamente che fa freddamente traffico delle sue attrattive senza concederle, che non prova il minimo scrupolo ad approfittare dell'ingenuità e della buona fede altrui, ma che è la sola ad avere idea, quando sia il momento, di cosa sia un minimo di moralità, pagando in modo del tutto imprevedibile il suo debito di riconoscenza verso Amelia, sua antica compagna di studi e protettrice, tanto buona quanto mostruosamente ingenerosa ed egoista." (Riccardo Reim, introduzione alla Fiera delle Vanità)
Attraverso l'ironia l'autore ci narra le vicende dei protagonisti come se la vicenda (o addirittura la vita) sia una rappresentazione teatrale accennando a sipari e commedia.
Il libro presenta vari personaggi, delle più alte sfere sociali come delle più basse, ma due spiccano sugli altri: Rebecca (Becky) Sharp e Amelia Sedley. La prima è la figlia di un pittore e di una ballerina francese, decisa e pronta a tutto pur di conquistarsi un posto al sole nell'aristocrazia inglese; la seconda invece è figlia di borghesi benestanti, dolce, remissiva, il cui unico interesse è sposarsi con George Osborne, un giovane a cui è stata promessa fin dalla più tenera età.
Al loro ritorno a casa, a seguito della permanenza in un Istituto, Becky fa la conoscenza del fratello di Amelia, Joseph, che ha fatto fortuna nelle Indie ed è appena tornato. Questo non è un ragazzo affascinante, anzi è piuttosto grasso, vanitoso e con poca conoscenza delle donne, ma con una copiosa rendita, grazie a ciò Becky decide di conquistarlo per farsi sposare. Ma dopo una serata turbolenta e di bagordi, Joseph si mette in ridicolo e desiste a confessarsi a Becky (che lo ha ammaliato con complimenti e moine) e decide di partire.
Nel frattempo Becky inizia a lavorare come istruttrice in casa di Sir Crawley, e dopo un anno in cui riesce ad accaparrarsi le simpatie della famiglia intera arrivando a far sì di far invaghire di sè il suo datore di lavoro, che le chiede di sposarlo, ma a cui risponde di no perchè nel frattempo si è sposata in segreto col figlio di Sir Crawley e decidono di scappare insieme. Intanto anche Amelia ed il suo promesso fidanzato si sposano, con diversi contrasti da parte delle famiglie (il padre di lei ha subito un grande crollo finanziario e una grande perdita e così la famiglia di George ha disdetto il fidanzamento indirizzandolo verso una mulattina ricchissima), e quinidi lo fanno in segreto e partono subito per la luna di miele.
Non mi dilungherò oltre, semplicemente perchè non voglio fare dello spoiler, ma il romanzo continua con molti intrighi e vicende che fanno passare i protagonisti come degli esseri umani reali e con tutti i loro difetti, piuttosto che personaggi inventati e campioni di integrità morale, e dimostrando la falsità della società inglese del tempo che discrimina fanciulle di grande intelletto ma senza un minimo di sangue blu nelle vene.
Dico inoltre che il finale è completamente inaspettato e mi ha fatto sorridere, un sorriso misto tra amarezza e sconsolazione, pensando che le persone buone, che vogliono solo essere felici con l'amore accanto a loro, devono faticare moltissimo nella vita e passare i momenti più bui, quando gli arrivisti riescono ad ottenere quello che vogliono attraverso sfide che li faranno perdere molto meno in confronto e che tutte le cose materiali che vogliono le otterranno al prezzo di qualcun'altro.
Io questo libro lo consiglio, a me è piaciuto e mi ha fatto anche un po' riflettere sulle dinamiche della vita. Thackeray ti fa tifare per i suoi protagonisti, ti fa rispecchiare in loro e nei loro tratti che li rendono umani, ma che comunque ti fa capire che ad essere sempre e comunque buoni sembra che non ci si guadagni nulla, ma che poi a lungo andare le soddisfazioni e la tranquillità e la felicità arrivano.
Leggetelo e ditemi.
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